La storia dei famosi lampioni di Venezia
La storia dei famosi lampioni di Venezia
Lunga ed interessante la storia dei caratteristici lampioni che illuminano Venezia.
A partire dall’ anno Mille si ha notizia certa del primo rudimentale provvedimento adottato dalla città di Venezia per l’illuminazione delle strade e dei suoi numerosi canali. Fino a quella data la circolazione notturna rappresentava un’impresa decisamente rischiosa; basti pensare come alla mancanza totale di luce per rischiarare le vie si aggiungesse anche il buio più profondo delle botteghe e delle abitazioni.
Essendo costruite interamente in legno, era proibito accendere lumi o fuochi per il pericolo sempre frequente di incendi.
A partire dal 1128, sotto il Doge Domenico Michiel, iniziarono a comparire alcuni lumicini, posti sui muri delle case, con la funzione di ardere tutta la notte e “infondere” coraggio ai viandanti che riuscivano a scorgerli anche da lontano. Tuttavia si trattava di un regolamento che, pur rispondendo in parte alle esigenze di allora, era assolutamente sproporzionato alle necessità.
Sembra che accanto all’ equipaggiamento personale raccomandato per spostarsi di notte ( torce e in seguito di lanterne) in particolari circostanze di pestilenze, disordini, o quando fosse più urgente e necessaria la protezione contro i malviventi, l’illuminazione potesse essere imposta ai proprietari delle case ordinando loro di collocare alle finestre del primo piano una lanterna dotata di candela di sego accesa.
Con tali sistemi e provvedimenti si arriverà all’ anno 1730 quando venne finalmente disposta l’illuminazione razionale dell’intera città con i fanali ad olio. I primi 843, infissi ai muri dei palazzi, aumentarono fino a raggiungere il numero di 1750, nell’ anno 1761, e di 1778 nell’ aprile del 1773.
In un documento sull’ “oglio serviente alla notturna illuminazione della Città compresa la Piazza San Marco e le strade annesse” si legge che all’ inizio del XIX secolo la Serenissima disponeva di 2030 fanali, così suddivisi: 12 alla Giudecca, 27 nel Ghetto, 76 in piazza San Marco, 1915 sparsi per la città. Incaricati dell’accensione erano i bolleghieri, lampionai muniti di scala e dell’attrezzatura necessaria per poter svolgere al meglio tale operazione.
L’introduzione del gas
Risale al luglio 1839, invece, la seduta per ’approvazione del contratto con la ditta francese “De Frigère, Cottin, Montgolfier, Bodin” che prevedeva l’appalto dell’illuminazione di San Marco, e del suo circondario, mediante l’uso del gas. La relazione proponeva di introdurre il nuovo sistema nelle vie centrali – Piazza e Riva Schiavoni, Merceria, San Bartolomeo, Calle Larga – con 146 fanali da realizzarsi in lamiera di ferro, muniti ai quattro lati e inferiormente di cristalli.
La società francese, detta “La Lionese”, realizzò la prima officina del gas a San Francesco della Vigna e l’esperimento di accensione, in piazza San Marco, si tenne nei giorni 13 e 14 marzo del 1843, ma già nel febbraio di due anni prima era stata ammessa la proposta di illuminare lo spazio scoperto “collocandosi candelabri in ghisa con sovrapposte lanterne a doppio becco munite di riverberi tali da poter leggere il giornale in qualunque situazione della Piazza”.
Fino al 1864, tuttavia, gran parte dei quartieri rimasero illuminati ancora ad olio e poiché in quello stesso anno scadeva il contratto per tale illuminazione si colse l’occasione per rivedere anche quella a gas.
La società si assunse ’incarico di diffondere il nuovo combustibile a tutta la città entro sei anni e di aggiungere altri 1500 fanali ai 1368 già esistenti: si trattava di lanterne infisse mediante ferri alle facciate dei palazzi, o di luci sospese su elaborati pali verticali in fusione di ghisa, più propriamente indicati col termine di lampioni o candelabri.
Il servizio di accensione e spegnimento delle fiamme veniva svolto a mano servendosi di lunghe pertiche in grado di aprire o chiudere il rubinetto di fuoriuscita del gas. Solo a partire dagli inizi del XX secolo si collocarono in ogni
fanale orologi automatici a molla con carica della durata di una settimana. Con questo espediente, tuttavia, occorreva tenere permanentemente acceso durante tutto il giorno un piccolissimo becco a gas e all’ora prefissata l’orologio faceva scattare una leva che provocava l’accensione o lo spegnimento della reticella.
I tempi moderni
Nel 1886, esaminati alcuni progetti di illuminazione mediante elettricità, si realizzò il primo esperimento alla Giudecca. L’anno successivo il Comune concesse per dieci anni alla Società Walter-Edison la distribuzione di
energia elettrica ai privati (per il servizio sulle pubbliche via, la Società del gas reclamava infatti l’esclusiva).
Nel 1889 si costituì la Società anonima per l’illuminazione elettrica di Venezia che realizzò un piccolo impianto per una ristretta zona del centro. A farla da padrone era comunque sempre il gas tanto è vero che risale al 1909 il
rinnovo del contratto da parte del Comune con la Lionese, accordo che prevedeva la costruzione di una nuova officina nella zona dell’ex Campo di Marte, oggi Santa Marta.
In quegli anni la stessa società francese divenne italiana, passando in proprietà all’ Italgas che dal nuovo polo industriale di Porto Marghera provvedeva alla distribuzione capillare del combustibile fossile.
Successivamente, nel 1969, ma ormai questa è storia recente, scaduta la concessione sessantennale, si è costituita la Veneziana gas la quale ha provveduto a sostituire su tutto il territorio il gas di cokeria con il metano.
Gli schermi
Visti gli innumerevoli lampioni presenti, tutti realizzati artigianalmente, risulta particolarmente complesso gestire i ricambi.
PPP realizza ancora oggi gli schermi che vengono impiegati nei candelabri di tutta la città, in lastra acrilica in uno speciale e inconfondibile colore ametista. Gli schermi vengono tagliati con macchinari laser e successivamente termoformati a caldo, con la stessa tecnologia che viene applicata sin dagli anni ’50 per la realizzazione dei parabrezza per uso nautico. Una storia che continua.